La formuletta sopra è quella usata durante la rianimazione cardiopolmonare e, in particolare, appena prima di erogare la scarica di un defibrillatore per evitare che qualcuno possa toccare il paziente durante questa scarica.
Ma, nel mio precedente articolo, si è messo in evidenza come alcuni studi, in particolare quello di Lloyd et al, hanno posto in evidenza come le correnti che attraversano un operatore durante la scarica di un DAE nella cardioversione di fibrillazioni atriali sono, nelle condizioni dello studio citato, addirittura sotto la soglia di percezione della scossa da parte degli operatori.
La domanda è quindi: siamo pronti ad rimuovere le interruzioni durante la fase di scarica del DAE (hands-off) e continuare a massaggiare anche durante questa scarica (hands-on)?
Per rispondere a questo importante quesito vediamo cosa è successo nella letteratura dopo il 2008 ossia dopo l’uscita dei risultati dell’esperimento di Lloyd et al.
Una prima risposta a questo dubbio amletico viene data dallo studio di Neumann et al, pubblicato nel 2012 dal Journal of the American Heart Association, dal titolo “Hands-on defibrillation has the potential to improve the quality of cardiopulmonary resuscitation and is safe for rescuers? A preclinical study”.
In questo studio, Neumann et al cercano di dissipare alcuni possibili dubbi dell’esperimento di Lloyd. Primo fra tutti il fatto che nell’esperimento in questione i pazienti non fossero in fibrillazione ventricolare ma in fibrillazione atriale (FA) poneva dei dubbi sul fatto che un approccio di tipo hands-on potesse avere dei vantaggi o meno su un approccio hands-off.
Inoltre le RCP nell’esperimento di Lloyd erano simulate e quindi non era ben chiaro se anche in presenza di una vera rianimazione cardiopolmonare gli operatori non percepissero le scariche del DAE.
Per rispondere a questi dubbi, i ricercatori hanno preso 20 (poveri) maialini, li hanno divisi in due gruppi, li hanno sedati, posti in condizioni ripetibili e li hanno mandati in fibrillazione ventricolare (FV). Vi riporto il disegno del setup dell’esperimento, presente nell’articolo originale, perchè mi fa troppo ridere
Al primo gruppo è stato applicato un approccio hands-off con le classiche interruzzioni durante la scarica del DAE mentre al secondo gruppo si è applicato un approccio hands-on senza mai interrompere le RCP se non durante la fase di analisi. Vi aggiungo
Al momento dell’avvio della fibrillazione ventricolare si è quindi aspettato 7 minuti senza fare nulla per simulare un ritarno nei soccorsi applicando poi due minuti di BLS e procedendo quindi con un approccio ALS con defibrillazione e parte farmacologica continuando fino all’eventuale ritorno della circolazione spontanea (ROSC).
Quali sono stati i risultati dell’esperimento? A livello di ritorno del ROSC, non ci sono state differenze significative, 9 maiali su 10 del gruppo hands-on sono tornati a vivere contro gli 8 su 10 del secondo gruppo. Ma, come affermano gli stessi autori, questo ottimo risultato in entrambi i gruppi può essere dovuto al minimo ritardo (solo 7 minuti di FV) prima di aver iniziato le procedure di rianimazione. Forse, con tempi di soccorso più dilatati, le differenze sarebbero state maggiori.
Quello che invece ha impressionato gli autori è che nel gruppo hands-off le RCP sono state interrotte nel 8.2% del tempo contro lo 0.8% del gruppo hands-on. Dato che le interruzioni delle RCP portano ad una caduta della pressione di perfusione coronarica e, prima che questa ritorni a livelli accettabili è necessario “sprecare” un certo numero di nuove RCP, ciò ha comportato dei tempi di ripristino di questa pressione (e quindi tempi di RCP sprecati) molto minori nel gruppo hands-on (1.9% del tempo) rispetto a quello hands-off (6.3%).
Questo si è tradotto in un picco della concentrazione del lattato, dopo il ritorno del ROSC, di soli 5 minuti nel gruppo hands-on contro le oltre due ore del gruppo hands-off sintomo che la perfusione durante le RCP era stata molto migliore nel primo che nel secondo gruppo.
Riguardo agli eventuali pericoli per i soccorritori, anche questo esperimento ha evidenziato come nessun operatore, tra quelli del gruppo hands-on, ha minimamente avvertito le scariche del defibrillatore ne gli holter ECG che erano stati fissati loro per valutare eventuali situazioni di pericolo nel ritmo cardiaco dei soccorritori ha mai rilevato alcuna aritmia o problematica di natura elettrica.
Per questo motivo, a conclusione dell’articolo, Neumann et al, consigliano la seguente checklist per l’uso di un approccio di RCP ininterrotte anche durante la scarica del DAE.
- Se stai indossando guanti in polietilene,
- se il defibrillatore è bifasico
- se le placche del defibrillatore sono auto-adesive e la parte esterna è ricoperta di materiale non conduttivo
- se gli elettrodi fanno un buon contatto con la pelle del paziente
- se non ci sono elementi aggiuntivi di pericolo (fluidi corporei, pioggia, superfici conduttive)
allora è possibile pensare ad un approccio hands-on al paziente in arresto cardiorespiratorio.
A fronte di tutto cio, sempre nel 2012 e sempre sul Journal of the American Heart Association esce un editoriale dall’emblematico titolo di “Hands-on defibrillation, the end of “I’m clear, You’re Clear, We’re all Clear”?, a firma di Richard E. Kerber, da cui ho preso il titolo del presente articolo, che enfatizza ulteriormente gli interessanti e impressionanti risultati degli esperimenti di Lloyd e di Neumann ma rimarca la necessità di ulteriori studi, magari portando i tempi di inizio di un BLS da 7 a 15 minuti per vedere se questo allungamento dei tempi di soccorso incida sul ritorno del ROSC tra pazienti trattati con un approccio hands-on rispetto a quelli trattati con un approccio hands-off.
D’altra parte, l’editoriale rimarca di nuovo la necessità di focalizzare l’attenzione sulle primarie condizioni di sicurezza del soccorritore perchè, se è vero che nelle condizioni degli esperimenti citati, le resistenze offerte dal soccorritore al passaggio di corrente erano ottimali (guanti di lattice, nessuna presenza di fluidi o superfici metalliche) è altresi vero che spesso le situazioni reali possono non essere cosi ottimali e un eventuale passaggio di corrente di entità maggiore attraverso il corpo del soccorritore può avere effetti nefasti.
L’editoriale si chiude con la seguente domanda. Allo stato attuale, siamo pronti a considerare una revisione delle linee guida per introdurre la non interruzione delle RCP durante la scarica del DAE? La risposta che l’autore da è ovviamente, sulla base delle attuali conoscenze, negativa in quanto sono ovviamente necessari ulteriori indagini circa la sicurezza di tale procedura per il soccorritore e un chiaro studio sull’effettiva diminuzione del rapporto rischio/beneficio a favore di questo nuovo approccio.
Come si dice in questi casi, chi vivrà, vedrà.