Spesso, nei corsi di BLSD (basic life support and defibrillation), enfatizziamo molto la sicurezza della scena durante la scarica di un defibrillatore, spesso con esempi apocalittici di distruzione dell’intera razza umana o rottura del continuum spazio-temporale nel caso qualcuno tocchi il paziente durante la scarica del DAE.
Ma è proprio cosi? É veramente cosi pericoloso toccare un paziente durante la scarica di un defibrillatore?
Per scoprirlo, non possiamo fidarci del sentito dire, del cugggino che aveva un’amica il cui fidanzato faceva il volontario in CRI e una volta ha sentito parlare di… ma dobbiamo affidarci alla letteratura scientifica.
Partiamo quindi dal 1990, dallo studio retrospettivo effettuato da Gibbs, Eisemberg dal titolo “Dangers of defibrillation: injuries to emergency personell during patient resuscitation” pubblicato su American Journal of Emergency Medicine.
In questo studio vengono analizzati alcuni problemi evidenziati durante la rianimazione cardiopolmonare tra il personale pre-ospedaliero dello stato di Washington nei 10 anni precedenti.
In particolare vengono riportati otto casi dove vi è stato contatto tra il paziente e un operatore durante la scarica del DAE.
Ricordando che ci troviamo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ( ) quindi con una tecnologia oggi obsoleta, vediamo gli otto casi evidenziati.
Caso n. 1 (il peggiore), durante la defibrillazione, una piastra che sembrava integra era invece rotta e esponeva, sulla superficie esterna, parte della circuiteria elettrica presente all’interno. Alla scarica del defibrillatore l’operatore riceveva, per intero, la scarica e perdeva conoscenza per un paio di minuti. E’ stato necessario ospedalizzare l’operatore che è stato quindi tenuto sotto osservazione per tre giorni e trattato con lidocaina per delle contrazioni ventricolari premature.
Caso n. 2, il braccio di un sanitario stava toccando una parte metallica della barella autocaricante durante la scarica. L’operatore ha riferito formicolio al braccio per 30 minuti
Caso n. 3, la mano di un operatore era a contatto con il gel durante la defibrillazione. Lieve indolenzimento del braccio
Caso n. 4, un paramedico stava prendendo il polso femorale mentre un altro defibrillava. L’operatore è stato sbalzato dalla scarica ma non ha riportato nessun problema successivo.
Caso n. 5, la gamba di un paramedico stava toccando il paziente. L’operatore ha riferito la sensazione di una lieve scossa alla gamba.
Caso n. 6, il paramedico stava mantenendo la bag mask sul volto del paziente. L’operatore ha riferito la sensazione di una lieve scossa sui polpastrelli.
Caso n. 7, il pollice del paramedico era a contatto con il torace del paziente. L’operatore è stato letargico per diversi minuti riprendendosi poi completamente
Caso n. 8, la gamba di un sanitario stava toccando una parte metallica della barella autocaricante durante la scarica. L’operatore ha riferito di aver sentito una scossa alla gamba
Otto casi in dieci anni, dove, nel peggiore dei casi, l’operatore si è trovato a diretto contatto con un filo scoperto del defibrillatore ma dove però, dopo una ospedalizzazione, non ha riportato grosse conseguenze come negli altri otto casi.
Gibbs e Eisemberg analizzano poi altri 13 casi accaduti tra il 1984 e il 1987 riportati alla Food and Drug Administration con problematiche riconducibili a
1. Problemi del defibrillatore
- Un defibrillatore che ha scaricato durante la carica
- Un defibrillatore che ha scaricato mentre stava eseguendo un ECG
- Scarica spontanea senza che l’operatore avesse premuto alcun pulsante
- Operatore riceve scarica nel momento in cui tocca il pulsante di scarica
- Un operatore riceve una scarica mentre stava riparando un DAE
2. Problemi operativi
- Placche sovrapposte
- Operatori toccano il paziente durante la scarica
In ognuno di questi casi non ci sono state conseguenze tranne nei casi di placche sovrapposte dove i pazienti e qualche volta gli operatori hanno subito delle ustioni dovute alla combustione delle placche, del gel o causate dall’arco elettrico prodotto dalla scarica.
Un ultimo caso trattato riporta quello di un istruttore che, durante una lezione di ALS (advanced life support), per gioco si è piazzato le piastre di un defibrillatore sulle tempie e, senza accorgersi che il defibrillatore fosse carico, ha premuto il pulsante di scarica.
L’operatore è stato sbalzato a terra ed è rimasto incosciente per 5 minuti e per le successive 36 ore è risultato letargico. L’operatore ha conseguito una amnesia retrograda e una ustione di secondo grado sulla faccia. Ma anche in questo caso “estremo” la ripresa è stata completa e non ci sono state conseguenze future.
Lo studio del 1990 chiude quindi con la necessità di aumentare la formazione degli operatori sulle procedure di sicurezza della scena e sull’assicurarsi che effettivamente nessuno stia toccando il paziente perchè se anche è vero che nei casi identificati, le conseguenze sono state minime, la sicurezza degli operatori resta di primaria importanza per una corretta rianimazione cardiopolmonare.
Ma veniamo ai giorni nostri. Lo studio sopra era, come detto uno studio retrogrado, che si basava su casi accidentali già avvenuti e senza la presenza di un adeguato controllo sulle condizioni operative in cui gli stessi sono avvenuti.
Come vedere che succede, in un ambiente controllato, se io tocco il paziente mentre un defibrillatore sta scaricando? E’ possibile effettuare uno studio pianificando la scarica di un DAE su un paziente e misurando la corrente che attraversa un soccorritore che lo sta massaggiando?
E’ quello che hanno fatto Lloyd, Heeke, Walter e Langberg in uno studio dal titolo “Hand-on defibrillation: an analysis of electrical currency flow through rescuers in direct contact with patients during bifasic external defibrillation” pubblicato nel 2008 su Circulation che la dice lunga già dal titolo.
Ridiciamolo in italiano, “analisi della corrente che attraversa dei soccorritori a diretto contatto con dei pazienti durante la scarica bifasica di un defibrillatore esterno”. Wow.
Cosa hanno fatto questi signori? Non potendo ovviamente sapere ne quando ne dove potesse avvenire una rianimazione cardiopolmonare, hanno usato un approccio diverso.
Dato che il defibrillatore si usa anche per cardiovertire una fibrillazione atriale su un paziente cosciente e questo è un evento non d’urgenza ma ambulatoriale e quindi si sa quando e dove avverrà hanno chiesto a 39 pazienti con fibrillazione atriale di essere usati come cavie.
Ma le cavie in realtà non erano loro ma altrettanti volontari a cui è stato chiesto di simulare un “leggero” massaggio cardiaco su questi pazienti, quindi di essere a contatto con la pelle del paziente, durante 43 scariche del defibrillatore Lifepac 12.
Lo ripeto, forse non è chiaro, questi soccorritori si sono beccati 43 scariche di defibrillatore senza mai abbandonare il torace del paziente e continuando a massaggiare.
Non contenti del contatto elettrico tra paziente e soccorritore hanno, per permettere il ritorno della corrente tra soccorritore e paziente, inserito con degli elettrodi, una resistenza in parallelo da 110 kOhm e una in serie da 120 Ohm tra la gamba del soccorritore e la schiena del paziente realizzando quindi il seguente circuito elettrico.
Per misurare le correnti che hanno attraversato il corpo del soccorritore è stato inserito un oscilloscopio a due canali sui capi delle due resistenze.
Sono stati erogati quindi 4 shock da 100 Joule, 27 da 200 Joule e 8 da 360 Joule.
NESSUNO DI QUESTE SCARICHE SONO STATE PERCEPITE DAGLI OPERATORI
Le correnti misurate dall’oscilloscopio sono state sempre inferiori al mAmpere con un passaggio medio di energia, attraverso il corpo del soccorritore dell’ordine del microJoule.
Risultato, tutte le scariche erano, non solo sotto la soglia di percezione ma molte sotto i valori raccomandati negli USA per l’emissione, in commercio, di apparati eletrici.
In definitiva, con tutte le cautele di questo esperimento, gli operatori sono stati sottoposti a correnti più basse di quelle che si possono prendere toccando le manopole o i contatti elettrici di un computer, radio, televisioni e altri apparati elettrici opportunamente schermati e rispondenti alle specifiche.
Le conclusioni dell’articolo sono che, data l’enfasi fatta, nelle ultime linee guida alla qualità delle RCP e alla loro non interruzione, visti i bassi livelli di esposizione alle correnti erogate durante la scarica, si potrebbe pensare all’eliminazione dei tempi “morti” di RCP durante la carica e la scarica del DAE.
In definitiva, non è detto che, tra una o due revisioni delle linee guida, non ci si ritrovi tutti a massaggiare durante la scarica del DAE, al contrario degli scenari apocalittici che raccontiamo finora.
Ma vediamo cosa è successo dopo l’uscita di questo studio.