Nel caso Morosini, quello che già si sapeva da tempo è stato confermato oggi dai periti nominati dal Gip: “[i medici presenti avrebbero] dovuto ricercare il defibrillatore semiautomatico esterno e, una volta identificatolo, saperlo impiegare immediatamente per gli scopi sopracitati, sfruttando così l’incomparabile opportunità di intervenire precocemente mediante defibrillazione esterna in un momento in cui la probabilità di pieno recupero del circolo cardiovascolare è massima. Tale omissione diagnostica-terapeutica, pertanto, riveste ruolo causale nel determinismo dell’exitus di Morosini”.
Traducendo, il DAE c’era, dovevate usarlo e se lo usavate molto probabilmente Morosini si salvava.
Ed è stato anche accolto quello che dicevo fin dall’inizio, cioè che i due medici sportivi magari neanche ricordavano più a cosa serviva un DAE ma che quello che avrebbe dovuto invece gestire correttamente la scena era il medico del 118 che, benchè intervenuto più tardi, era l’unico che aveva le vere competenze per mettere in ordine il casino che è poi stato l’intervento su Morosini. Ma anche lui è andato, diciamo, nel pallone e infatti per i consulenti del gip il medico responsabile del 118 «ha rivestito il ruolo più delicato ed a lui sono addebitabili i maggiori profili di censurabilità comportamentale. Infatti, pur intervenendo in un momento successivo rispetto ai primi due medici, si deve a lui riconoscere, tuttavia, il ruolo di leader che egli avrebbe dovuto assumere, procedendo immediatamente alla ricostruzione degli atti di soccorso praticati dai colleghi, immediatamente riconoscendo l’assenza di impiego del defibrillatore ed operandone l’impiego ad un tempo in cui una defibrillazione esterna si sarebbe associata ad una probabilità di sopravvivenza ancora piuttosto elevata».